giovedì 15 dicembre 2011

L'inutilità del rapporto R/P (Riserve/Produzione)

Quando si discute del futuro esaurimento dei combustibili fossili, uno degli indici che con maggior frequenza viene - a sproposito - citato è il rapporto R/P; questo numero esprime il rapporto fra le riserve note di un certo idrocarburo (R) e la produzione (P) dell'idrocarburo stesso in un determinato istante, e si esprime in anni. Ad esempio, se si consulta il BP Statistical Review of the World per l'anno in corso, si ricava per il petrolio il seguente grafico.

Andamento delle riserve, della produzione annua e del rapporto R/P negli ultimi 30 anni.

Purtroppo anche il più inoffensivo strumento, posto nelle mani sbagliate e usato impropriamente, può causare dei danni; ed è esattamente quello che è accaduto in un recente post di Willis Eschenbach su WUWT. La tesi di Eschenbach è che il rapporto R/P del petrolio è costante da molti anni, anzi, addirittura in aumento, quindi non c'è da affannarsi nel cercare alternative; disponiamo di decenni per eseguire la transizione energetica, e il mercato indicherà le alternative al momento opportuno. Questa analisi presenta almeno due punti discutibili.

Il primo è relativo al numeratore, perché non conosciamo le riserve con adeguata precisione. Il problema travalica l'insita difficoltà nello stimare un giacimento tramite prospezioni, ossia mezzi indiretti: esistono in letteratura riserve provate (1P), probabili (2P), possibili (3P), e nessuna convenzione universalmente riconosciuta e accettata per riportarle in documenti ufficiali. Inoltre da parte delle singole nazioni non c'è interesse ad uniformare le statistiche e a presentare cifre veritiere, basti ricordare che le riserve dichiarate da molti paesi dell'OPEC sono immutate da più di vent'anni, e alcuni stati hanno deciso di classificare come riserve le tar sands - per esempio il Venezuela - sebbene esistano seri dubbi sulla loro reale convenienza economica.

La seconda critica è legata al denominatore: non è pensabile che la produzione rimanga costante al livello attuale fino all'esaurimento dei giacimenti per poi crollare immediatamente a zero. Plausibilmente seguirà una curva più o meno ripida in funzione di altri fattori, economici e politici (ma soprattutto geologici), ed è altamente probabile che nell'anno in cui sarebbe previsto l'esaurimento secondo il grezzo modello che considera il solo indice R/P si potrà in realtà ancora disporre di quella risorsa. A che prezzo e in che quantità, però, non è dato sapere.

Dovrebbe essere chiaro a questo punto che il rapporto R/P, e il suo andamento nel tempo, non possono essere argomenti sui quali basare una seria discussione di politica energetica; troppe le incognite, e assolutamente irrealistico il modello di esaurimento per trarre delle conclusioni sensate. Oltre a ciò, osservare che l'indice è rimasto circa costante negli ultimi decenni - lasciando intendere che non c'è nulla di cui preoccuparsi, e anzi le prospettive sono perfino migliorate - è semplicemente privo di logica, e per chiarirlo basta un esempio.

Supponiamo che nel mio giornaliero pendolarismo mi accorga di una ragazza dai capelli rossi che sale in treno una fermata dopo la mia; inizio a notarla a settembre, e vedo che è sempre lì, con la pioggia e con il sole, settimana dopo settimana; ogni giorno che passa la mia certezza di vederla aumenta, e visto che ho un debole per i capelli rossi decido di attaccare bottone con un pretesto subito prima di Natale. Ahimè, proprio quando ho indossato la giacca migliore e mi sono - con grande sforzo - fatto la barba in modo inappuntabile, la ragazza non c'è più perché si è trasferita in un'altra città. Il tacchino induttivista di Bertrand Russell ha mietuto un'altra vittima.

Per tornare all'argomento del post, conoscere l'andamento di R/P fino ad oggi non può fornirci alcuna informazione su quanto accadrà domani, e chi cerca di ricavarne è ignorante oppure in malafede. Ad esempio, il caso dell'uranio francese, sebbene riferito ad una risorsa di altro tipo e in una zona geografica limitata, fornisce un interessante - e preoccupante - precedente. Anche senza possedere i Red Book della NEA è possibile analizzare il rapporto R/P tramite un documento (pdf) dell'EWG (pag. 32 e 33): nel 1990 è stimabile un R/P di circa 35, numero che in base alle tesi iniziali dovrebbe indicare senza ombra di dubbio che in Francia si sta ancora estraendo uranio. Purtroppo la realtà è ben diversa, infatti l'attività mineraria è ferma dal 2000; la stima fatta al tempo è risultata sbagliata per eccesso di 25 anni.[1]

Quello che conta è il flusso che siamo in grado di estrarre, e se tale flusso sia sufficiente a soddisfare la domanda; avere individuato trilioni di barili di petrolio finemente mescolati con sabbia e materiale organico non è di per sè condizione bastante a far marciare centinaia di milioni di veicoli dotati di motore a combustione interna, e il grippaggio del BAU in caso di insufficiente fornitura di distillati è assicurato. Osservando R/P non possiamo trarre alcuna informazione sulla capacità delle riserve di soddisfare il futuro aumento della richiesta mondiale per un tempo prolungato, né di mantenere un livello estrattivo costante.

L'unica cosa sulla quale si può concordare con Eschenbach è che la transizione avverrà in decenni: la diffusione di soluzioni innovative ha sempre richiesto molto tempo, e ancora più tempo è necessario per adeguare le infrastrutture. Non è detto però che saranno decenni facili da attraversare, tenuto conto della nostra dipendenza dagli idrocarburi liquidi.

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[1] Va sottolineato che il rapporto R/P è realmente informativo nel caso di minerali, dove è plausibile un'estrazione costante per un certo numero di anni, mentre i giacimenti di petrolio presentano sempre una fase di declino in virtù delle loro caratteristiche geofisiche.

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