lunedì 13 dicembre 2010

Tutto quello che avreste voluto sapere sul petrolio*

* ma non avete mai osato chiedere

Questo potrebbe essere un buon sottotitolo per Oil 101, il libro di Morgan Downey pubblicato nel 2009 (e del quale non credo esista, né mai esisterà, una traduzione in italiano).

Chiunque si interessi di problemi energetici dovrebbe avere alcune nozioni sul petrolio. Purtroppo i libri che trattano l'argomento sono spesso troppo specialistici - e costosi - oppure parlano solo di alcuni aspetti economici o geopolitici; se non si vuole spendere, in rete è possibile trovare buoni articoli (ad esempio su The Oil Drum), ma per chi si è avvicinato da poco all'argomento ed è privo di un background possono risultare troppo ostici. Oil 101 rappresenta un buon compromesso fra una pagina di Wikipedia e i 7 volumi del Petroleum Engineering Handbook, riuscendo in sole 452 pagine (ampiamente corredate di grafici e tabelle) a spiegare l'essenziale anche a chi sia totalmente digiuno della materia.

Dopo un breve riassunto sulla storia dell'estrazione petrolifera dal colonnello Drake fino alle oil sands dei giorni nostri, passando per le sette sorelle e l'OPEC, si entra nella parte più tecnica (e arida) del volume, 3 capitoli sulle caratteristiche fisiche e chimiche del petrolio. Seguono poi l'esplorazione e la produzione, la sua raffinazione e una dettagliata analisi dei prodotti finiti in base al loro peso molecolare, dai gas ai distillati pesanti. Al trasporto e immagazzinamento sono dedicati i capitoli 11 e 12, nel 13 si trattano i fenomeni stagionali - ad esempio gli effetti della temperatura sulla domanda di combustibile per riscaldamento - e in quello seguente la definizione e la stima delle riserve.

Nelle ultime 40 pagine vengono affrontati gli aspetti economici: le definizioni dei benchmark, i futures, gli swaps, le opzioni, il significato di una curva dei prezzi in contango, spread e derivati. Se qualcuno spera di poter comprendere l'aumento e successivo crollo dei prezzi registrati nel 2008 dopo aver letto gli ultimi capitoli, probabilmente rimarrà deluso: manca qualunque accenno alla vicenda (ma c'è il grafico con i prezzi spot).

Nessun libro è perfetto, e di fronte ad un tema così vasto bisogna necessariamente arrivare a dei compromessi fra il livello di approfondimento e lo spessore del volume; nel complesso tuttavia, se si riesce a sopportare la scrittura essenziale e si è disposti a sorvolare su qualche paragrafo in stile bignami - come quello che tratta dei vari tipi di viscosimetri - la trattazione è piuttosto equilibrata. Anzi, anche per chi abbia già conoscenze in materia Oil 101 può rappresentare un indispensabile compagno proprio grazie alla numerosa quantità di dati elencata e tabellata.

Volendo essere davvero pignoli, per un lettore italiano alcune parti possono sembrare troppo centrate sugli USA; vale in particolare per il capitolo 15 sulla legislazione ambientale, ma anche in altri tratti i riferimenti agli Stati Uniti - per quanto comprensibili vivendo l'autore a New York - diranno poco al lettore europeo. Da questo punto di vista proprio le prime due pagine del libro non sono esenti da una critica: si cita come inizio dell'era del petrolio la data del 27 Agosto 1859 con il primo pozzo di Titusville (Pennsylvania) senza nemmeno un cenno a Baku e al suo pozzo profondo 21 m scavato nel 1846 (per non parlare della raffineria del 1837); solo più avanti si parlerà del mar Caspio ma riferendosi al periodo successivo al 1870.

In definitiva, se da tempo si cercano risposte chiare a domande del tipo
  • Ma le sette sorelle quali sono?
  • Cosa misurano i gradi Api?
  • Perché il petrolio si definisce "sweet" o "sour"?
  • Cos'è il "refinery gain"?
questo libro potrà tenere compagnia per più di qualche sera.

mercoledì 8 dicembre 2010

Scusi, che vento farà domani?

Esce oggi sul MeteoGiornale la prima parte di una breve analisi riguardo l'importanza dei modelli previsionali meteorologici nella produzione di energia eolica. Uno degli aspetti che non sono trattati riguarda la reale diminuzione di emissioni di CO2 derivante dal risparmio di combustibili fossili, diminuzione che può venire annullata se le centrali convenzionali sono costrette a lavorare a carico parziale per troppo tempo; l'argomento merita un'analisi approfondita.

Buona lettura.

Update: è uscita anche la seconda parte.

venerdì 3 dicembre 2010

Il trifluoruro d'Azoto nell'industria fotovoltaica

Contro il fotovoltaico vengono da tempo lanciate accuse poco fondate o addirittura completamente errate; fra queste meritano sicuramente una menzione d'onore:
  1. La possibilità che non restituisca nell'arco della sua vita utile nemmeno l'energia spesa per produrlo (falso, esistono numerosi studi sul suo EROEI; qui se ne trova uno).
  2. Il fatto che provocherebbe un innalzamento della temperatura nei luoghi dove viene installato e sarebbe più inquinante dal punto di vista termico di una centrale termoelettrica (falso, per un'analisi con formule si veda qui (pdf, 180 kB).
  3. Lo smaltimento dei pannelli porterà ad un grande inquinamento (sostanzialmente falso, forse sarà un argomento futuro).
Circa un anno fa però è apparsa in rete una critica originale: la produzione di pannelli solari (sigh) causerebbe l'emissione di quantità smisurate di NF3, un potente gas serra. Possibile che ci sia qualcosa di vero?

E' difficile rintracciare le origini di questa leggenda urbana. Tutto sembra avere inizio nel 2008 quando vengono pubblicati su di una nota rivista scientifica un paio di articoli [1,2] riguardo il trifluoruro d'Azoto; solo in uno dei due si fa un accenno ai pannelli fotovoltaici, e questo particolare viene (sfortunatamente) ripreso anche nel comunicato stampa dell'Università nella quale lavorano i ricercatori.

Purtroppo la notizia non passa inosservata e subito ci si butta sopra un noto blog; da lì in poi l'informazione si trasmette molto velocemente e se ne trova traccia in altre lingue, francese, tedesco e ovviamente italiano, ripresa sia in articoli sparsi su vari blog, sia nei commenti da parte di utenti. Forse è arrivato il momento di fare un po' di chiarezza sull'argomento e inquadrare il problema nella giusta prospettiva.

sabato 27 novembre 2010

Il blog cambia nome

Sono due i motivi che mi hanno spinto a cambiare.
Per prima cosa trovavo il vecchio titolo un po' troppo presuntuoso per un progetto che ancora deve trovare una forma definitiva (qualcuno penserà che questo lo sia ancora di più).
E poi mi pare che l'uso del termine ambiente sia un po' inflazionato negli ultimi tempi.

domenica 21 novembre 2010

Il picco del carbone a buon mercato

Poco più di 12 anni fa, nel Marzo del 1998, su Scientific American veniva pubblicato un articolo - a firma dei due geologi petroliferi Colin J. Campbell e Jean H. Laherrère - che sarebbe diventato nel corso degli anni uno dei più citati riferimenti di ogni peakoiler: The end of cheap oil, la fine del petrolio a buon mercato. La sua importanza risiede in due particolarità: si è trattato della prima volta che il concetto di picco del petrolio è stato esposto, per così dire, al grande pubblico; e soprattutto, l'andamento produttivo degli ultimi anni conferma il raggiungimento di un plateau, e il prezzo del barile si è attestato su livelli impensabili fino a pochi anni fa. In poche parole, Campbell e Laherrère avevano ragione.

Oggi il copione si ripete per un altro articolo con qualche differenza: la rivista è sempre di alto peso scientifico, Nature, si ha ancora una coppia di autori, Richard Heinberg e David Fridley, però questa volta non sono dei geologi e l'idrocarburo sotto esame è il carbone. E' possibile che nell'arco di pochi anni si ripeta l'aumento dei prezzi già visto con il petrolio?

Se la conoscenza delle riserve petrolifere è lungi dall'essere ottimale, per il carbone è ancora peggio. Molti paesi forniscono cifre (riportate poi dal WEC o nel report annuale della BP) che risultano immutate da anni, come accade per la Cina, sebbene lo sfruttamento dei giacimenti continui; non esiste una convenzione universalmente accettata per la stima delle riserve, che possono di volta in volta rappresentare la sola quantità estraibile con la tecnologia e al prezzo attuali, oppure l'intera quantità presente nel deposito, o ancora delle vie di mezzo; le indagini su alcuni giacimenti, come quello di Gillette negli USA le cui riserve accertate sono state ridotte del 95%,  lasciano qualche dubbio anche al più sfrenato ottimista.

D'altra parte l'interesse per il carbone è molto alto: il basso costo di estrazione lo rende il combustibile preferito da diversi stati, in primis quelli con economie ancora in fase di espansione come la Cina, per la produzione di energia elettrica - e con i prezzi attuali del petrolio diventa allettante anche la conversione in idrocarburi liquidi - ma implica contemporaneamente elevate emissioni di CO2. La pubblicazione di almeno 4 studi recenti sul possibile andamento della produzione mondiale di carbone nei prossimi anni mostra una notevole dispersione dei risultati, con una previsione di picco estrattivo che va dal 2011 al 2050; queste stime sono da confrontare con le cifre riportate da chi legge sommariamente i report internazionali che indicano almeno un centinaio di anni di riserve (secondo la BP sono 119) ai consumi attuali.

Sulla reale disponibilità di un carbone poco costoso negli anni a venire si basano buona parte degli scenari di sviluppo energetico ai quali fanno riferimenti istituzioni internazionali e politici. Esiste la possibilità che fra pochi anni la domanda possa superare l'offerta e creare una situazione simile a quella già vissuta nel 2008 per il petrolio: questo fatto dovrebbe essere sufficiente per spingere ad una verifica dell'effettiva consistenza delle riserve di carbone.

mercoledì 14 luglio 2010

Il primato delle riserve

Da una parte c'è chi gioca a nascondino, strumentalizzando il benessere delle future generazioni per giustificare minori esplorazioni, e quindi sfruttamenti, dei beni che il destino ha voluto fossero distribuiti sotto i proprio piedi (se ne parla ad esempio qui); dall'altra c'è chi vuole il gradino più alto del podio, dichiarando che il proprio paese detiene la maggior quantità di riserve di petrolio al mondo.

La cintura dell'Orinoco, una piccola zona situata in Venezuela - estesa poco più della Val Padana - è salita alla ribalta per gli abbondanti giacimenti di petrolio non convenzionale che vi si troverebbero. Il presidente venezuelano spera per la fine del 2010 di guidare la nazione con la maggiore quantità di riserve di petrolio; è supportato in questo sia dagli annunci dell'OPEC riguardo le riserve provate dell'organizzazione, che nel 2009 si sono attestate a 1060 miliardi di barili, sia da un rapporto dell'USGS[1] della fine dell'anno scorso.

L'Arabia Saudita ad oggi dispone di 265 miliardi di barili di petrolio, stando alle loro dichiarazioni; riserve che, è bene ricordarlo, sono praticamente invariate dal lontano 1989, anno in cui si passa dalla stima di 170 a ben 255 miliardi di barili: miracolo derivante dal meccanismo di quote produttive operante in quel periodo. Con queste nuove certificazioni il Venezuela si troverebbe con almeno 300 miliardi di barili di petrolio, e forse oltre 600: quanto basta per cambiare equilibri geopolitici già scricchiolanti, se fosse vero.

Tempo fa mi ero occupato di uno studio molto ottimista dell'U.S. Geological Survey, e anche in questa circostanza viene da chiedersi se le cifre riportate non siano troppo rosee. Secondo le dichiarazioni della PDVSA la percentuale di petrolio recuperabile dell'OOIP (Original Oil In Place) è oggi al 7%, mentre nello studio citato si va da un minimo del 15% ad un massimo del 70%.

Va chiarito che oggi l'estrazione è basata quasi interamente sul metodo CHOPS (Cold Heavy Oil Productin with Sand), per il quale il fattore di recupero difficilmente supera il 10%, mentre metodi come il SAGD (Steam Assisted Gravity Drainage) possono spingersi oltre il 50%, e forse in futuro anche oltre[2]. I giacimenti venezuelani sono però a profondità maggiore di quelli canadesi, dove questa tecnologia ha dato buoni risultati, per cui non è assicurato che siano impiegabili su larga scala; inoltre ad oggi la Petróleos de Venezuela non possiede il know-how necessario, e la situazione politica del paese frenerà probabilmente le partecipazioni di compagnie estere.

I dubbi aumentano quando si trovano frasi come la seguente
"I doubt the recovery factor could go much higher than 25% and much of that oil would not be economic to produce."
pronunciate da Gustavo Coronel, un geologo ed ex membro del consiglio della PDVSA; oppure leggendo le conclusioni dell'USGS
No attempt was made in this study to estimate either economically recoverable resources or reserves within the Orinoco Oil Belt AU. Most important, these results do not imply anything about rates of heavy oil production or about the likelihood of heavy oil recovery. Also, no time frame is implied other than the use of reasonably foreseeable recovery technology.
che sottolineano l'assenza di analisi economiche.

Prima o poi è plausibile che anche una parte di quel petrolio verrà estratto, ma non è dato sapere quale prezzo dovrà raggiungere il barile perché vengano sfruttate le intere riserve, e nemmeno quale potrà essere il flusso estraibile. Quando si è assetati, avere una borraccia enorme può servire a poco se il tappo lascia passare solo poche gocce per volta. E il mondo è molto assetato di petrolio.

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[1] An Estimate of Recoverable Heavy Oil Resources of the Orinoco Oil Belt, Venezuela (pdf)


[2] Un valore medio che sfrutti le tecniche EOR (Enhanced Oil Recovery) potrebbe avere come obiettivo realistico il raggiungimento di un recovery factor del 30%; si veda ad esempio
Global Oil Reserves – Recovery Factors Leave Vast Target for EOR Technologies (pdf)

sabato 22 maggio 2010

L'inizio

"Un altro blog? Ma non ce n'erano già abbastanza?"

Sono domande lecite, e probabilmente pecco di presunzione pensando di avere qualcosa di originale da dire su queste pagine.

Energetica ed ambiente sono due argomenti che coprono praticamente  l'intero spettro delle azioni umane: perché la storia dell'umanità è inestricabilmente legata all'uso (e oggi anche all'abuso) di quantità sempre maggiori di energia; e l'ambiente è, molto semplicemente, tutto quello che ci circonda e che ci permette di vivere.

Carbone, nucleare, eolico, fotovoltaico; petrolio e biocombustibili; problemi attuali e prospettive future; limiti tecnologici reali e leggende urbane.



Questo e altro ancora, se vorrete seguirmi.