mercoledì 14 luglio 2010

Il primato delle riserve

Da una parte c'è chi gioca a nascondino, strumentalizzando il benessere delle future generazioni per giustificare minori esplorazioni, e quindi sfruttamenti, dei beni che il destino ha voluto fossero distribuiti sotto i proprio piedi (se ne parla ad esempio qui); dall'altra c'è chi vuole il gradino più alto del podio, dichiarando che il proprio paese detiene la maggior quantità di riserve di petrolio al mondo.

La cintura dell'Orinoco, una piccola zona situata in Venezuela - estesa poco più della Val Padana - è salita alla ribalta per gli abbondanti giacimenti di petrolio non convenzionale che vi si troverebbero. Il presidente venezuelano spera per la fine del 2010 di guidare la nazione con la maggiore quantità di riserve di petrolio; è supportato in questo sia dagli annunci dell'OPEC riguardo le riserve provate dell'organizzazione, che nel 2009 si sono attestate a 1060 miliardi di barili, sia da un rapporto dell'USGS[1] della fine dell'anno scorso.

L'Arabia Saudita ad oggi dispone di 265 miliardi di barili di petrolio, stando alle loro dichiarazioni; riserve che, è bene ricordarlo, sono praticamente invariate dal lontano 1989, anno in cui si passa dalla stima di 170 a ben 255 miliardi di barili: miracolo derivante dal meccanismo di quote produttive operante in quel periodo. Con queste nuove certificazioni il Venezuela si troverebbe con almeno 300 miliardi di barili di petrolio, e forse oltre 600: quanto basta per cambiare equilibri geopolitici già scricchiolanti, se fosse vero.

Tempo fa mi ero occupato di uno studio molto ottimista dell'U.S. Geological Survey, e anche in questa circostanza viene da chiedersi se le cifre riportate non siano troppo rosee. Secondo le dichiarazioni della PDVSA la percentuale di petrolio recuperabile dell'OOIP (Original Oil In Place) è oggi al 7%, mentre nello studio citato si va da un minimo del 15% ad un massimo del 70%.

Va chiarito che oggi l'estrazione è basata quasi interamente sul metodo CHOPS (Cold Heavy Oil Productin with Sand), per il quale il fattore di recupero difficilmente supera il 10%, mentre metodi come il SAGD (Steam Assisted Gravity Drainage) possono spingersi oltre il 50%, e forse in futuro anche oltre[2]. I giacimenti venezuelani sono però a profondità maggiore di quelli canadesi, dove questa tecnologia ha dato buoni risultati, per cui non è assicurato che siano impiegabili su larga scala; inoltre ad oggi la Petróleos de Venezuela non possiede il know-how necessario, e la situazione politica del paese frenerà probabilmente le partecipazioni di compagnie estere.

I dubbi aumentano quando si trovano frasi come la seguente
"I doubt the recovery factor could go much higher than 25% and much of that oil would not be economic to produce."
pronunciate da Gustavo Coronel, un geologo ed ex membro del consiglio della PDVSA; oppure leggendo le conclusioni dell'USGS
No attempt was made in this study to estimate either economically recoverable resources or reserves within the Orinoco Oil Belt AU. Most important, these results do not imply anything about rates of heavy oil production or about the likelihood of heavy oil recovery. Also, no time frame is implied other than the use of reasonably foreseeable recovery technology.
che sottolineano l'assenza di analisi economiche.

Prima o poi è plausibile che anche una parte di quel petrolio verrà estratto, ma non è dato sapere quale prezzo dovrà raggiungere il barile perché vengano sfruttate le intere riserve, e nemmeno quale potrà essere il flusso estraibile. Quando si è assetati, avere una borraccia enorme può servire a poco se il tappo lascia passare solo poche gocce per volta. E il mondo è molto assetato di petrolio.

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[1] An Estimate of Recoverable Heavy Oil Resources of the Orinoco Oil Belt, Venezuela (pdf)


[2] Un valore medio che sfrutti le tecniche EOR (Enhanced Oil Recovery) potrebbe avere come obiettivo realistico il raggiungimento di un recovery factor del 30%; si veda ad esempio
Global Oil Reserves – Recovery Factors Leave Vast Target for EOR Technologies (pdf)